Abstract
Keywords: pensiero_computazionale, critica, educazione, dominio, complessità
Algoritmo: una parola che si sta rapidamente diffondendo nel linguaggio quotidiano con la fascinazione di un incantesimo e la pervasività del luogo comune. Da un lato una rappresentazione mediatica incline all’ottimismo «soluzionista» (Morozov 2013) descrive le macchine computazionali, che in modo sempre più pervasivo governano le nostre vite, come qualcosa di rassicurante, addirittura entusiasmante, in grado di migliorare e semplificare le nostre scelte, le nostre relazioni, la nostra quotidiana routine; dall’altro il nuovo scenario dominato dalla logica algoritmica viene frequentemente raffigurato con gli inquietanti tratti della distopia guidata da opache «tecnologie del dominio» (Collettivo Ippolita 2017), che alimentano diseguaglianze e pregiudizi, banalizzano la complessità e oscurano le distorsioni cognitive annidate nell’apparente neutralità del codice (O’Neil 2017).
Si tratta di una polarizzazione dalle radici antiche, che in definitiva rimanda a una duplice mitizzazione della scienza e delle sue applicazioni, oscillante fra il sogno del progresso e l’incubo della hýbris. In realtà occorrerebbe che la discussione pubblica si dotasse della strumentazione critica minima per comprendere e gestire i processi che così profondamente e rapidamente stanno trasformando la nostra società (Pireddu 2017). In questo senso il ruolo della scuola appare cruciale da più di un punto di vista, anche se apparentemente né chi è deputato alla riflessione sociologica e pedagogica, né i decisori politici, né i soggetti coinvolti (docenti, studenti, famiglie) sembrano pienamente consapevoli della reale posta in gioco.
In effetti la scuola è coinvolta nella rivoluzione algoritmica secondo almeno tre modalità: in primo luogo come organizzazione complessa il cui funzionamento (individuazione di finalità, conseguente reclutamento, distribuzione, selezione del personale e, infine, valutazione di sistema e degli output formativi) tende ad essere implementato e ottimizzato in termini procedurali; secondariamente come luogo di diffusione della nuova «fede algoritmica», culminante nell’enfasi che viene dedicata alla promozione, a partire dai gradi più bassi dell’istruzione, del cosiddetto «pensiero computazionale», proposto come chiave unica, o quasi, di interpretazione del reale (Wing 2006); infine come possibile strumento di raccolta dati e precoce profilazione degli utenti, per esempio (ma non solo) attraverso i cosiddetti learning management system (LMS) gestiti direttamente dalle grandi piattaforme digitali come Google, Microsoft, Apple e sempre più utilizzati come strumenti apparentemente neutrali di miglioramento e facilitazione in chiave digitale della didattica (Scheff 2014).
Tenendo conto di queste premesse, la mia relazione esaminerà le trasformazioni che il sistema educativo, sottoposto alla modellazione algoritmica, di fatto sta subendo, con effetti potenzialmente dirompenti (e ancora non del tutto prevedibili) sia sulla tradizione culturale della quale la scuola è stata custode fino a questo momento, sia sulle finalità e gli esiti della formazione scolastica. A completamento di questa descrizione, prenderò in considerazione la possibilità che sia proprio la scuola, recuperando un ruolo attivamente critico, ad offrire gli strumenti e le competenze necessarie per comprendere e gestire le nuove forme di integrazione uomo-macchina generate dal software algoritmico: un compito difficile che potrà essere affrontato soltanto a patto di evitare sia l’acritica esaltazione della tecnica, sia ogni forma aprioristica di rifiuto e demonizzazione.
Categoria: SCUOLA DIGITALE | Data di pubblicazione: 15/05/2019 |
Sottocategoria: Educare alla complessità degli algoritmi | Data ultima modifica: 15/06/2019 03:52:31 |
Permalink: Educare alla complessità degli algoritmi: una sfida possibile. | Tag: Educare alla complessità degli algoritmi: una sfida possibile. |
Inserita da Lorenza Boninu | Visualizzazioni: 818 |
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